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La Memoria e la Testimonianza di Piero Terracina agli studenti del Tedone

La Memoria e la Testimonianza di Piero Terracina agli studenti del Tedone

“Possono accadere fatti terribili. Mi raccomando, siate uomini, non perdete mai la dignità”.
Queste sono state le ultime raccomandazioni del padre di Piero Terracina prima di essere deportato nel campo di Birkenau-Auschwitz insieme a tutta la sua famiglia: padre, madre, tre fratelli, la sorella Anna, il nonno ed uno zio . Parole che commuovono, parole di un padre che Piero non ha più rivisto. “Ma come si fa – racconta Piero – a non perderla la dignità quando si ha fame. Dov’è la dignità quando si guarda con occhi supplichevoli al proprio aguzzino perché affondi un po’ di più il mestolo nella zuppa … avrei dovuto odiarlo il mio aguzzino. Ma avevo 15 anni e a quell’età ti aggrappi alla vita con tutte le forze. Avevo 15 anni e non volevo morire”.
Questo il senso profondo della testimonianza di Piero Terracina, arrestato con la famiglia a Roma il 7 aprile 1944, deportato ad Auschwitz e liberato il 27 gennaio 1945. Questo il suo magistero educativo teso a consegnare alle nuove generazioni un futuro della memoria. L’incontro dei giovani studenti del Liceo Tedone con Piero Terracina, testimone e sopravvissuto all’Olocausto si carica di un valore straordinario ed irripetibile: per anni è stato negato ai deportati liberati il racconto della loro verità, per anni gli stessi superstiti sono stati devastati e soffocati dal dolore, nel tentativo di liberarsi dalle paure e dai ricordi degli orrori della violenza e della morte. Per ragioni anagrafiche i testimoni dello Shoah fra qualche anno non ci saranno più. Ecco il senso profondo, la portata valoriale della presenza di Piero Terracina al Liceo Tedone: testimoniare, narrare, raccontare una delle pagine più buie della nostra Storia, denunciare il delirio nazista di Auschwitz e piantare quel seme morale di coscienza civile in ogni singolo studente.
Storie crude. Dolorose. Devastanti. Storie che scuotono le coscienze ma che non devono e non possono limitarsi ad innescare sentimentalismi ed emozioni. Il rischio è quello di creare un vischioso sentimentalismo della Memoria, della Shoa. Queste storie e queste testimonianze devono, invece, innescare un sentimento, un desiderio profondo di conoscere la storia e di indagare nelle radici del nostro passato, contestualizzandolo, inducendoci a chiedere il perché e il come. “La memoria – racconta ancora Terracina – è quel filo che lega il passato al presente e condiziona il futuro.” Per questo, a settanta anni dalla liberazione di Auschwitz, ha ancora senso parlare della Shoa, ha ancora senso sforzarsi di comprendere la natura dell’antisemitismo nazista, unica strada per osservare con maggiore lucidità quanto accade oggi in Europa e nel resto del Mondo: antisemitismo, integralismi, fanatismi e nuove forme di razzismo dilagano in modi e forme sempre più inquietanti.
“Ricordo il 16 ottobre 1944 – racconta, ancora, Piero – il giorno del rastrellamento del quartiere ebraico di Roma: vennero deportate 1023 persone in 18 carri bestiame. Sono tornati in 16. Cosa devo dire a chi nega l’olocausto? Io c’ero. Io l’ho visto. Noi sopravvissuti l’abbiamo visto. Abbiamo visto gli stabilimenti, le ciminiere. E quando i forni crematori non bastarono più, scavarono delle grandi fosse dove buttavano insieme legna e cadaveri per poi appiccare il fuoco. Quelle fiamme e quel fumo erano i nostri morti. Era un popolo che bruciava”.
Eppure c’è chi nega l’olocausto. C’è chi nega 11 milioni di morti, 11 milioni di numeri tatuati sulla pelle. Dietro ad ogni numero un essere umano assassinato.
In un racconto appassionato, vibrante, serrato, a tratti interrotto dalle lacrime e dalla commozione, Piero Terracina racconta ad una platea gremita e silenziosa di studenti e docenti, l’umiliazione di essere stato privato del diritto a studiare: “Ero stato educato all’amore per lo studio, per la scuola. Mia madre non tralasciava occasione per ricordarci che per riuscire nella vita bisognava prima riuscire nella scuola. A volte penso che mio padre mi rimandò in quella scuola per farmi toccare con mano le avversità a cui eravamo costretti. Era un antifascista, non militante, ma un antifascista”.
Il 15 novembre Piero entrò regolarmente in classe e si diresse verso il suo banco, come faceva da un mese e mezzo. Tutti i suoi compagni si fermarono in silenzio, ad osservarlo. L’insegnante lo bloccò e gli disse: “Esci, che tu non puoi stare qui”. A questo seguì la barbarie della deportazione.
“Sono stato arrestato a Roma con la mia famiglia”, racconta Terracina. “ La notte del 17 maggio del ’44. Ci misero in 64 in un vagone. Fu un viaggio allucinante, tutti piangevano, i lamenti dei bambini si sentivano da fuori, ma nelle stazioni nessuno poteva intervenire, sarebbe bastato uno sguardo di pietà. Le SS sorvegliavano il convoglio. Viaggiavamo nei nostri escrementi: Fossoli, Monaco di Baviera, Birkenau-Auschwitz. Arrivammo dentro il campo di concentramento, dalle fessure vedevamo le SS con i bastoni e i cani.
Imparammo da subito a conoscere e riconoscere la lezione del bastone. Scendemmo, ci picchiarono, ci divisero. Formammo due file, andai alla ricerca dei miei fratellini, di mia madre, noi non capivamo, lei sì: mi benedì ala maniera ebraica, mi abbracciò e mi baciò con il volto bagnato di lacrime e disse “andate”. Non l’ho più rivista. Mio padre, intanto, andava verso la camera a gas con mio nonno. Si girava, mi guardava, salutava, alzava il braccio. Noi arrivammo alla “sauna”. Ci spogliarono, ci tagliarono anche i capelli. E ci diedero un numero di matricola”.
A5506, il numero di matricola di Piero. Un marchio di fabbrica impresso, indelebile, sulla sua pelle, nella sua anima, nella sua mente. “Dove sono i miei genitori?”, chiesi a un altro sventurato. E lui rispose: “Vedi quel fumo del camino? Sono già usciti da lì”.
In quei lager gli ebrei furono certo il bersaglio più evidente e l’accanimento nei loro confronti fu estremamente furioso e violento, ma non furono le uniche vittime: insieme a loro rom, zingari, omosessuali, migranti, disabili, dissidenti politici. Lì fu annientato l’essere umano.
“Dopo Auschwitz – scriveva il filosofo Theodor Adorno – sarà impossibile scrivere poesie”, intendendo rendere l’idea di quali implicazioni radicali comportava assumersene la responsabilità. Ma proprio questo noi oggi siamo chiamati a fare:assumerci responsabilità, non dimenticare, ricordare, avere memoria del passato, non odiare, essere vigili e lucidi.

Prof.ssa Rosanna Pellegrini

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  1. Dott. Prof. Mario De Benedittis

    07/03/2015 at 9:13

    Un grazie di cuore alla Prof.ssa R. PELLEGRINI per il commovente articolo pubblicato. Ottima l’iniziativa del Preside e Collaboratori di pubblicizzare l’evento nell’Istituto… gli Studenti ne trarranno considerazioni sicuramente negative di quel nefasto periodo storico che e’ stato il ventennio nazista e fascista… ed apprezzeranno maggiormente i valori di una societa’ libera e democratica. La partecipazione degli “ultimi” protagonisti di questi tragici eventi rende ancor piu’ significativa tale manifestazione. Grazie prof. f.to: Mario prof.

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