Attualità

99 cani e il lupo Biagio nei foto-racconti di Giuseppe Carlucci

«I peri selvatici sono in fiore, nell’aria c’è odore di primavera: Ralph è lontano dalla sua masseria, sta cercando un luogo tranquillo, isolato, lontano dagli uomini. No, non ce l’ha con loro, ma ora vuole stare solo e cercare un piccolo riparo tra i bianchi asfodeli. […] In quest’ultimo viaggio è accompagnato da una delle sue figlie: sarà lei a vegliarlo sino al momento cruciale in cui si addormenterà per l’ultima volta. Poi, chissà, forse potrà tornare a correre tra i fiori e le rocce delle Murge come faceva quando era ancora cucciolo».

Ralph, il vecchio Ralph, pastore abruzzese di quindici-sedici anni, è uno dei cani che Giuseppe Carlucci, fotografo professionista ed esperto conoscitore dell’Alta Murgia, ha incontrato nel corso dei suoi “vagabondaggi d’autore” e i cui tratti sono poeticamente disegnati in “Novantanove cani e un lupo” che l’autore ha intenzione di dare alle stampe. «Al momento non ho in mente un editore ben preciso, devo prima completarlo. – confida – Tuttavia, se qualche editore è interessato, può proporsi».

Perché “Novantanove cani e un lupo”?
«Il titolo è nato dall’incontro con un lupo che, contrariamente a quanto pensavo, si è lasciato fotografare». E non hanno avuto timore dell’obiettivo anche i cani a cui Carlucci ha attribuito un nome rappresentativo – nomen omen (un nome, un destino) – del loro carattere e del loro vissuto, molto spesso difficile e pieno di stenti.

«E dire che inizialmente  – confida Carlucci – non avevo intenzione di scrivere un libro. Tutto ha avuto inizio quando, tra le cartelle delle mie foto, ne ho trovata una dedicata ai cani incontrati nel corso delle mie tante “peregrinazioni” murgiane. Ho iniziato, quindi, a condividere sui social le foto, unendo a ciascuna di esse riflessioni e antiche memorie. Sembra che la cosa sia piaciuta a molti miei amici i quali mi hanno invitato a non disperderle ma a raccoglierle in un libro».

Lo scopo di “Novantantove cani e un lupo”, tuttavia, è quello di sensibilizzare i lettori a combattere la piaga del randagismo, «una pratica ancora molto diffusa e sottovalutata che condanna i cani a una fine orribile, fatta di stenti e malattie. E nei 6.8000 ettari del Parco nazionale dell’Alta Murgia accade sovente, purtroppo, di trovare dei randagi».

Come Asia, «l’emblema stesso del cane randagio, che tra i suoi avi annovera certamente un cane corso ed un cane lupo. Bruttina, «con quelle orecchie da pipistrello e quel corpo che ricorda vagamente una iena». E maltrattata dagli umani visto che, un giorno, le hanno tirato una pietra colpendola all’occhio destro che ora non ha più. Ora è gravida e va alla ricerca di un posto dove partorire e accudire i cuccioli, proteggendoli da lupi e volpi».

Una vita difficile, che spesso se è drammatica quanto quella degli uomini, tuttavia è ispirata a una maggiore nobiltà, a giudicare da alcuni racconti dove all’ingratitudine, alla violenza e all’indifferenza degli uomini, i cani contrappongono profonda dedizione, fiducia e bontà. «L’attaccamento del cane al padrone è sempre molto forte ed il cane molto spesso perdona al suo padrone maltrattamenti ed angherie varie» conferma Carlucci.

Neel, cane da pastore, è divenuto randagio a causa di uno scatto d’ira: stava difendendo il suo misero pasto, dopo una giornata di lavoro, dalle mire di uno yorkshire di città che lo disturbava costantemente. Un morso innocuo, ma Neel è stato cacciato senza pietà. A nulla i tentativi di essere riammesso: solo sassi e calci da parte degli antichi padroni.

Si narra, poi,  la storia dell’ingenuo Argo che sconta, in catene, una colpa non sua; del fiero Rambo; del piccolo Bart abbandonato in una masseria e sempre in attesa dei suoi padroni; di Ultimo, forse l’ultimo cane murgese, possente, destinato a fare da guardia alle mandrie di cavalli, allevate un tempo allo stato brado. «E’ un vero peccato che nessuno abbia mai pensato a preservare questa razza di cani magnifici» dichiara Carlucci.

Infine, c’è il “Quartetto Cetra”, che abbaia – ma non morde – contro chi invade la sua zona. «Ecco, – suggerisce Carlucci – se vedete dei cani che vengono verso di voi, abbaiando, non datevi alla fuga, perché gli dareste il pretesto per inseguirvi. Al contrario, dovete restare fermi: semmai raccogliete un sasso, ma non lanciatelo! Tenetelo come estrema ratio, ma al 99,9 % non lo userete. Magari gridategli contro dimostrando di non aver paura. La vostra reazione li disorienterà e si fermeranno a debita distanza, tornando anche sui propri passi».

Ci narri del suo incontro con il lupo.

«Un lupo che  ho chiamato Biagio perché ci siamo incontrati nel tardo pomeriggio del 3 febbraio 2016, giorno di San Biagio. Ero in auto, intento a fotografare paesaggi, quando mi accorgo di Biagio che procedeva tranquillamente, assorto nei suoi pensieri a testa bassa. Accortosi della mia presenza, è fuggito ma io l’ho inseguito. Avevo entrambi i finestrini aperti e mi fermai esattamente al suo fianco. Biagio è stato immobile per non più di tre secondi, ma vi assicuro che sono stati i tre secondi più lunghi della mia vita. Ci siamo guardati negli occhi: aveva uno sguardo curioso e profondo, assolutamente non minaccioso. Poi altra fuga per fermarsi e guardarmi ancora più attentamente, con la stessa espressione che assumiamo noi umani quando guardiamo con attenzione una persona che pensiamo di aver già incontrato ma non ricordiamo dove e quando. Riuscii a scattargli una serie di foto. Prima di allontanarsi definitivamente, mi guardò a lungo, poi riprese tranquillo il suo cammino scuotendo la testa come per dire “Ma veid ci avaia acchiò ei osc”.

L’ho scritto in dialetto ruvese perché sono quasi certo che Biagio fosse uno dei quattro cuccioli di lupo “ruvesi” che avevo ripreso in più occasioni con le fotocamere all’infrarosso posizionate nei boschi di Ruvo di Puglia. Andavo ogni sabato a cambiare le SD delle macchine e di certo i piccoli quattro monelli mi avevano osservato in più di una occasione, nascosti nel bosco. Ci andavo sempre da solo per non allarmare i genitori, evitando altri odori. Ma loro il mio lo conoscevano benissimo tanto da andare ad annusare le camere, come si vede chiaramente nelle immagini sui titoli di coda del documentario di Eugenio Manghi, sul Parco Nazionale dell’Alta Murgia, dal titolo “Alta Murgia una terra strana” (questo è il trailer). Tra i quattro cuccioli ve ne era uno più attivo degli altri: chissà, forse era proprio Biagio. Mi piace pensare che la sorte abbia voluto che ci rincontrassimo».

Ora Carlucci, tra un tramonto, il volo di un grillaio e le sobrie geometrie umane del paesaggio murgiano, deve completare il libro che, da questi racconti, si preannuncia ricco di umanità, perché le storie dei cani sono speculari a quelle di molte persone, con il loro carico di sofferenza ma anche di amore per la vita.

«Il mio auspicio – conclude Carlucci – è che il libro possa servire a sensibilizzare le coscienze di chi considera il cane una specie di giocattolo, mentre si tratta a tutti gli effetti di un essere vivente dotato di sentimenti. Quindi, prima di abbandonare un cane pensate a quali orribili giorni di solitudine e sofferenze lo condannate».

(Nella foto in evidenza, il lupo Biagio © Giuseppe Carlucci)

Un pensiero su “99 cani e il lupo Biagio nei foto-racconti di Giuseppe Carlucci

  • Michele Barile

    Spero che libro sia pronto quanto prima e dato alle stampe. La sensibilità dell’ autore per la natura è contagiosa: un vero regalo, un incentivo all’ottimismo.

    Rispondi

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